Geopolitica: La Tigre ed il Dragone.
Il nuovo secolo molto probabilmente aprirà una pagina inedita nella storia dell’Umanità. Per la prima volta infatti, l’epicentro politico, economico e militare di un mondo dove i confini sono sempre più labili, non si troverà in una capitale europea o nordamericana, ma in Asia. E’ arrivato il momento degli astri nascenti orientali.
I presupposti per una leadership indo-cinese si stanno manifestando tutti, proporzionalmente allo sviluppo dei due colossi. Entrambi i paesi possiedono l’arma atomica: la Cina dal 1964 mentre l’India nel 1974. Mentre la Bomba cinese traeva la propria origine dalla logica imposta dalla Guerra Fredda, in qualità di alleata di Mosca, l’atomica indiana traeva la propria legittimazione dapprima dalla volontà di supremazia strategica, in seguito nella mera deterrenza del confinante Pakistan.
L’India, infatti, si dotò di armi atomiche prima del Pakistan con l’intento strategico di imporre al paese confinante una sfera di influenza coperta dal proprio ombrello atomico. Ma il programma atomico segreto pakistano mandò all’aria i piani di Delhi, poiché già nel 1982 il Pakistan possedeva cinque testate atomiche. La supremazia indiana si trasformò in deterrenza.
Lo sviluppo atomico cinese fu dettato da esigenze diverse: nei tardi anni ’50 la Cina era ancora in stretti rapporti con l’Unione Sovietica. I rapporti andarono progressivamente deteriorandosi, sino alla rottura definitiva tra maoismo e comunismo sovietico. E’ in un’ottica di affermazione della propria sfera geopolitica che nasce il programma nucleare cinese.
Oggi, la capacità atomica dei due paesi a confronto è ben differente: la Cina ha sviluppato circa 400 testate nucleari, contro le “modeste” 65 indiane; ciò peraltro riflette le differenti necessità per cui sono state sviluppate dei rispettivi governi. La convivenza dei due colossi non è stata sempre pacifica, e, a dire il vero, considerarla tale anche al giorno d’oggi è un errore.
I due paesi sono pervenuti ad una guerra aperta nel 1962, passata alla Storia come Guerra Sino-Indiana, per la demarcazione di confini ereditati dall’Impero Britannico e mai definitivamente consolidati, complice anche l’aspro territorio che separa i due stati. Le ostilità scoppiarono per il controllo dell’Aksai Chin, un altopiano desertico sito a 7000 metri d’altezza e praticamente disabitato. In ballo c’era però ben altro: lo stato federato indiano dell’Arunachal Pradesh, che confina con la Cina e che i cinesi considerano come Tibet meridionale.
La pace non è mai stata siglata, si è giunti solo ad un armistizio. Dal 2004 i cinesi hanno ripreso a premere sulla frontiera indiana di nord-est, complice anche il ritrovato feeling tra Nuova Delhi e Washington nella Guerra al terrorismo voluta dalla presidenza Bush.
Cina ed India, hanno storicamente esercitato una influenza determinante sugli innumerevoli stati di piccole dimensioni che li attorniavano. Il Paese del Drago, estende più o meno direttamente la propria influenza su tutta l’area dell’Estremo Oriente. Il caso più eclatante di questa influenza è rappresentato dalla Corea del Nord, il regime comunista al potere nel paese dal 1948, è il più fedele alleato di Pechino. Isolato dalla comunità internazionale, con un’economia al collasso ed una popolazione che risente ancora della carestia che dal 1995 ha messo il paese in ginocchio, la Cina rappresenta una sorta di “fratello maggiore” per la nomenklatura ed il popolo nord-coreano. La scheletrica economia nordcoreana si basa praticamente solo sugli aiuti che pervengono dall’estero, principalmente da Pechino. Sono proprio questi aiuti che permettono all’establishment politico, militare e burocratico di reggersi in piedi a fronte di una situazione interna che Amnesty International ed Human Right Watch giudicano tra le peggiori al mondo. In cambio, il regime nordcoreano garantisce una lealtà unica al Fratello Maggiore, arrivando a modellare il proprio interesse nazionale su quello cinese.
Altri paesi che risentono dell’espansione cinese sono quelli che storicamente si ponevano come baluardo occidentale in Estremo Oriente: Giappone, Taiwan e Corea del Sud. Il Paese del Sol Levante ha negli ultimi anni iniziato un lento ma inesorabile riavvicinamento alla Cina. Nonostante dallo scorso settembre i rapporti tra i due paesi si siano raffreddati a seguito di un incidente in acque contese, il Giappone prosegue nella direzione di voler migliorare i rapporti tra due giganti economici, affrancandosi progressivamente dall’influenza statunitense che nell’ultimo mezzo secolo ha garantito ai nipponici uno sviluppo economico a cifre doppie apparentemente inarrestabile, al prezzo di una limitazione effettiva della propria presenza geopolitica nell’area.
Con la Corea del Sud e Taiwan i rapporti restano invece più complessi: la prima infatti non ha mai siglato la pace con la Corea del Nord, mentre Taiwan (ufficialmente Repubblica di Cina), non è riconosciuta dalla Repubblica Popolare Cinese come uno stato indipendente, ma come una mera provincia ribelle. Taiwan, al termine della Lunga Marcia che portò i comunisti al potere in tutta la Cina continentale, divenne il rifugio dei nazionalisti. Sotto la protezione occidentale, ed in particolare statunitense, il governo nazionalista cinese si proclamò come unico legittimo, aprendo una crisi che prende le mosse dal 1949.
La tensione giunse al culmine allorquando i cinesi comunisti tentarono di forzare militarmente Taiwan nel 1958, non vi riuscirono, grazie in particolar modo all’aiuto militare americano.
Nel 1970, tuttavia, la Cina registrò una importante vittoria: il seggio di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sino ad allora ricoperto da Taiwan, le fu ceduto. Oggi, sono pochi gli stati al mondo che intrattengono relazioni diplomatiche con la Cina insulare: la quasi totalità della comunità internazionale riconosce ormai come legittimo interlocutore Pechino. E’ importante però notare come gli ultimi paesi in ordine cronologico a discostarsi da Taiwan, chiudendo le relazioni diplomatiche, siano paesi in via di sviluppo, dove l’interesse per i capitali cinesi è così forte da spingere a questa scelta.
La sfera d’influenza indiana invece sembra concentrarsi sui propri confini: stati himalayani come il Nepal o il Bhutan, sono perfettamente incastonati nella corona montuosa di Nuova Delhi. Il Bhutan, piccolo regno montuoso, deve il 37% del proprio PIL agli aiuti economici indiani.
A sud, principale punto di focalizzazione dell’interesse politico è lo Sri Lanka. Dilaniato da anni di lotte civili che vedevano da una parte il governo e dall’altra i guerriglieri socialisti indipendentisti conosciuti come Tigri Tamil, il conflitto, iniziato nel 1970, è terminato con la vittoria governativa nel 2009, dopo una violenta offensiva militare che ha posto fine al controllo delle Tigri nel nord dell’isola. E’ impensabile che ciò sia potuto accadere senza un tacito accordo indiano, che vede nella guerriglia maoista particolarmente forte nello stato del Bengala Occidentale, uno dei peggiori nemici alla stabilità del paese.
Le tensioni interne che si manifestano regolarmente tanto in India quanto in Cina non sono altro che il prezzo di una crescita economica forsennata che crea inevitabilmente terribili squilibri sociali. La Cina, il cui tasso di crescita si attesta intorno al 9%, riesce ad arginare le tensioni sociali a patto che riesca a garantire una crescita annua notevole.
Ma un altro tipo di tensione cova sotto la cenere, quella etnica. Sono trascorsi due anni dall’esplosione di violenza in Tibet, seguita da quella nello Xinjiang ad opera della minoranza uigura. Pechino teme che il riconoscimento troppo ampio di culture estranee a quella Han, la maggioritaria, possa provocare un indebolimento inarrestabile del potere centrale del Partito.
In India invece, la situazione è diversa. La millenaria cultura indiana prevede una divisione sociale rigidissima, per caste. L’odierna democrazia indiana, ha acquisito questo elemento, integrandolo. Il voto è ancora diviso per caste, ma oggi, nonostante permanga la struttura, il sistema si è evoluto. La Costituzione indiana, pur tutelando fortemente i diritti delle classi più deboli, come i dalit (o intoccabili), prevedendo quote riservate ad essi in materie come l’istruzione, il lavoro ed i seggi parlamentari, ad oggi non è pienamente applicata.
Anche l’India, inoltre, non è esente da tensioni etniche e religiose: tra queste vale la pena ricordare la lotta dei seguaci sikh che ha portato all’assassinio del primo ministro Indira Ghandi nel 1984 come rappresaglia per l’operazione condotta dall’esercito indiano contro i militanti asserragliati nel luogo più sacro a questa confessione: il Tempio d’Oro. Da non dimenticare infine, le conseguenze della crescita economica. Le stime danno il PIL indiano in crescita tra il 2010 ed il 2011 dell’ 8,5%. Per alimentare una macchina che brucia tanta energia, sono necessarie enormi quantità di materie prime.
La devastazione ambientale, che ha messo in ginocchio intere popolazioni, sommandosi ai fenomeni di squilibrio sociale tipico delle economie in ascesa, hanno dato vita a tensioni in molti stati indiani. Gli slums, quartieri composti di baracche che si estendono a perdita d’occhio nelle periferie delle megalopoli indiane, sono la cicatrice che lo sviluppo incontrollato lascia sulla faccia dell’India. A poche decine di chilometri, i centri di sviluppo delle maggiori aziende hi-tech mondiali, che in questo paese trovano giovani laureati competenti ed un costo del lavoro competitivo.
Ecco il grande motore dell’India: accanto alla onnipresente Tata, che oltre a fabbricare auto, investe con l’aiuto del governo in comparti strategici come l’energia, ci sono le ditte occidentali e l’hi-tech.
Oggi, sembra che Cina ed India stiano vivendo uno sviluppo senza controllo né direzione. Vale la pena ricordare che i due paesi rappresentano 1/3 della popolazione mondiale e che si stanno affacciando alla ribalta di un mondo mai così globalizzato prima d’ora. La penetrazione cinese in Africa è la dimostrazione di quanto la necessità di approvvigionarsi di materie prime unitamente a quella di trovare nuovi mercati alternativi ad un Occidente sempre più coperto dai debiti, spingeranno i due colossi ad una gara senza tregua.
Il potenziale militare, oggi ancora secondario, assumerà presto una valenza primaria, concentrando definitivamente l’egemonia economica e militare in mano a dei paesi geograficamente e culturalmente lontani da quello che da quasi due millenni è stato considerato il centro del mondo: l’Europa. C’è da giurare che la Tigre ed il Dragone tireranno fuori di nuovo le zanne, una volta che il mondo sarà diventato troppo piccolo per contenerle entrambe.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti
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Abbiamo voluto dar vita ad una serie di post riguardanti la politica estera. I motivi di questa volontà di approfondimento li trovate qui, nel post introduttivo.
Allego alcuni siti internet che trattano di politica internazionale e di geopolitica in maniera completa, affinché i lettori possano approfondire:
In lingua italiana, uno dei più completi:
http://temi.repubblica.it/limes/
In lingua inglese, si tratta di due periodici statunitensi specializzati in geopolitica.
Entrambi estremamente interessanti e completi:
http://www.foreignaffairs.com/
Sempre in lingua inglese, il settimanale britannico di economia più famoso al mondo.
Con un occhio di riguardo allo sviluppo delle potenze emergenti:
In lingua francese, mensile di geopolitica del giornale Le Monde.
Si tratta di un giornale di sinistra, ma che propone sempre spunti di riflessione interessanti e profondi:
http://www.monde-diplomatique.fr/
Buona lettura!