La diversità, vera ricchezza delle donne
“Non rinunciate a nulla, neppure a una briciola della vostra identità femminile, del vostro amore per i bambini, della vostra cura per i malati, della vostra gentilezza, del vostro dominio su voi stesse, della vostra fedeltà alla coscienza e al senso del dovere, perché la politica ha un enorme bisogno di tutte queste cose”.
Nel leggere queste parole di Millicent Garrett Fawcett mi stupisco di quanto queste parole siano attuali. Eppure sono state scritte nel 1894 da una suffragetta, ai tempi in cui le donne non avevano neppure il diritto di voto. Da quel tempo molte cose sono cambiate, e adesso le donne possono finalmente dire di aver raggiunto una piena parità di diritti nel lavoro e nella politica. Ma ne siamo davvero sicuri? E soprattutto, a quale prezzo?
Di sicuro oggi una donna può studiare in qualsiasi campo, può aspirare ad una ottima carriera lavorativa, può impegnarsi in politica, può addirittura fare il soldato. Ma allora come mai ancora troppe donne occupano i vertici delle aziende o ricoprono importanti incarichi pubblici, nonostante le statistiche indichino che le donne a scuola e all’università conseguono risultati migliori degli uomini?
Credo che la risposta sia da ricercare nella frase che ho ricordato. Noi donne abbiamo lottato e ottenuto di poterci affermare nel lavoro e nella politica, ma credo che nel farlo abbiamo dimenticato chi siamo realmente. Ci siamo trasformate in quegli “uomini mancati” di cui parlava Rousseau quando diceva: «educate le donne come gli uomini e quanto più rassomiglieranno al nostro sesso, tanto minore sarà il potere che avranno su di noi». Se ci pensate, noi facciamo tutto quello che fanno gli uomini, abbiamo gli stessi orari di lavoro, perseguiamo gli stessi obiettivi e manteniamo gli stessi ritmi. Con la colossale differenza che noi, a differenza loro, torniamo a casa la sera tardi, stremate, col pensiero di: frigo da riempire, bambini da andare a ritirare (manco fossero pacchi postali!), cena da preparare, camicie da stirare (poche di noi hanno chi gliele stira), casa da rendere presentabile (pulire è una parola grossa!), genitori anziani di cui quantomeno interessarsi, compiti dei bambini da controllare… E la lista potrebbe essere infinita. Ovvio che, con questi ritmi, poche riescono ad affermarsi e sempre troppe devono scegliere fra carriera e famiglia. Una volta laureate, passiamo un’eternità fra un contratto a progetto e l’altro, senza diritti, pagate con stipendi da fame; comprare casa è un’utopia, fare un figlio poi, ma siete matti? Con la lettera di dimissione in bianco firmata da noi e pronta all’uso nel cassetto del capo? E anche chi ha avuto la fortuna di non arrivare a questi eccessi (tutt’altro che rari), credete che una volta incominciata la gravidanza si vedrà rinnovato il contratto? E quelle mosche bianche che hanno un contratto a tempo indeterminato, come faranno a produrre quanto o più di prima, con quel che costano gli asili nido (quelli aziendali sono molto spesso un’utopia e in quelli comunali non c’è mai posto) e con tutti gli imprevisti che possono portare una mamma ad allontanarsi da lavoro? Ci sforziamo di ricoprire un ruolo che non è tagliato sulla nostra pelle, quello della macchina da lavoro che non guarda il cuore dei propri dipendenti o le sue esigenze, ma che pretende produttività, quasi fossero macchine inanimate, e che fino a sera tardi resta in ufficio perché quella è la sua unica preoccupazione. Ma noi siamo questo? Io dico di no. Le donne in politica finora non ci aiutano molto: se qualcuna solleva il problema delle lavoratrici madri, portando in parlamento la sua neonata, da un’altra ci si sente addirittura dire che quei tre mesi in cui ci viene concesso di costruire un rapporto con nostro figlio appena nato (e qualunque mamma sa che tre mesi non sono nulla) sono un privilegio e che una donna deve saper fare dei sacrifici (come se non ne facessimo abbastanza…)
E perché tutto questo? Perché le nostre madri, che per i nostri diritti hanno lottato, ci hanno insegnato la contrapposizione con gli uomini, ai quali dovevamo dimostrare a tutti i costi di essere migliori di loro; ci hanno fatto credere che la parità fosse essere uguali agli uomini, fare tutto ciò che prima facevano gli uomini, nello stesso modo. Ma noi non siamo uguali e neppure migliori o peggiori, noi siamo diverse. Non siamo uomini, siamo donne.
A questa affermazione di Rousseau Mary Wollstonecraft rispondeva : “io non mi auguro che (le donne) abbiano potere sugli uomini, ma su se stesse.” La natura ci ha creato differenti dagli uomini e questa differenza la urla il nostro corpo innanzitutto, ma anche la nostra anima. Noi siamo fatte di sentimenti, di gentilezze, di maternità, di comprensione che non ha bisogno di parole. La maternità, vissuta o potenziale, è scritta nel nostro Dna, e allora perché ce ne siamo dimenticate? Perché non ci ribelliamo a un sistema che vuole che ci si vergogni di voler crescere i propri figli ma non per questo rinunciare alla realizzazione lavorativa? Perché le donne che ci hanno preceduto si sono battute per l’aborto e per il divorzio ma non si sono battute in una società dove hai il tempo per la condivisione con tuo marito e dove una gravidanza non viene accolta con angoscia? Perché le donne che ci rappresentano oggi non costruiscono un mondo dove le donne riescono a essere presenti nella vita dei propri figli senza rischiare il posto di lavoro?
Noi siamo diverse, e dobbiamo con tutte le nostre forze far si che il nostro essere donne debba costituire un punto di forza per la società, e non un impiccio contro la produttività. A chi dice il contrario, ricordo che i nostri figli che crescono senza dei genitori per quasi tutto il giorno, e quindi senza regole e senza l’amore e il punto di riferimento che solo i genitori sanno dare, saranno i cittadini di domani; un paese che non cresce, perché le donne non ce la fanno a mettere al mondo dei figli, è un paese destinato a morire.
Se noi donne non smettiamo di demandare agli uomini la tutela delle nostre esigenze e non iniziamo noi a costruire un mondo che tenga conto della nostro essere, ne gioverà negativamente tutta la società. La politica e l’Italia in generale ha bisogno di donne vere, che vivano il proprio essere donna come una ricchezza da tutelare e valorizzare per il bene di tutti.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru