Le lezioni dimenticate della crisi economica
Lorenzo Bini Smaghi, membro del Comitato esecutivo della BCE, ha illustrato un paio di giorni fa il motivo per il quale occorre che i tassi di interesse crescano e le lezioni che questa crisi ha impartito.
Sinceramente, con tutto il rispetto per il dott. Bini Smaghi, non sono pienamente convinto di quanto da lui sostenuto.
La lezione impartita da questa crisi è la stessa delle altre crisi precedenti che è stata prontamente dimenticata: pensiamo alla crisi seguita alla bolla dei titoli Internet o alla crisi delle tigri asiatiche (1998), e potrei continuare con altri esempi. Le crisi ci sono sempre state e hanno sempre avuto dei tratti in comune, come hanno affermato illustri studiosi tra cui Galbraith: né le regolamentazioni, né le conoscenze economiche sono sufficienti a proteggere individui e istituzioni finanziarie dai ritorni di euforia, che conducono regolarmente a straordinari incrementi di valori e di ricchezza, alla foga per parteciparvi, che spinge verso l’alto i corsi, e poi al crollo, con i suoi postumi tetri e dolorosi.
E a nulla valgono gli avvertimenti perché durante l’euforia si viene irrisi e tacciati di volere danneggiare le persone, come accadde, giusto per fare un esempio famoso, a Paul Warburg che aveva messo in guardia tutti dalla “sfrenata speculazione” e disse che, se ciò fosse continuato, ci sarebbe stato un crollo disastroso. Le reazioni furono violente, e lo hanno accusato di volere “mettere a repentaglio la prosperità della società”. Anche Babson, economista e statista, predisse un crollo dando ragione a Warburg. Anche lui fu accusato dai suoi colleghi, di volere remare contro la società. Poi i fatti hanno dato ragione a queste due persone. Era il 1929 e, per inciso, Warburg era il fondatore della Federal Reserve americana.
Frasi e situazioni similari si troveranno sempre, basta che si studi la storia economica e le crisi finanziarie con mentalità aperta. Dopo ogni crisi si parla di lezioni imparate, di errori che non si devono ripetere, ma poi, passa il tempo, e la memoria storica delle crisi finanziarie sbiadisce, facendo ricominciare tutto.
Per questo dubito, quando Bini Smaghi parla di “lezioni imparate dalla crisi”.
Non sono neanche d’accordo quando parla della opportunità di un aumento dei tassi di interesse che, secondo lui, dovrebbe avvenire a breve.
Perché non sono d’accordo?
Perché secondo me è ancora presto e perché la BCE dovrebbe prima risolvere alcuni problemi e contraddizioni che accompagnano la sua nascita.
Cerco di spiegarmi meglio.
Mentre la Federal Reserve ha, tra i vari compiti, quello di agevolare e difendere la crescita economica, quindi mettendo la lotta all’inflazione in subordine a questo scopo (anzi la lotta all’inflazione diventa solo uno strumento per difendere la crescita economica), la BCE è nata con un unico scopo, la lotta all’inflazione. Proprio per questo motivo appena l’inflazione inizia a rialzare la testa, la BCE interviene immediatamente, perché non può fare diversamente, essendo il suo unico scopo (e quindi la crescita economica passa in secondo piano).
Quindi in ultima analisi abbiamo che le due banche centrali operano con filosofie diverse: la BCE contrasta in tutti i modi l’inflazione agendo sulle leve dei tassi; mentre quella americana usa le leve di comando per stimolare ogni situazione che possa dare slancio all’economia.
A mio avviso guardare solo all’inflazione rischia di mettere a serio rischio la crescita economica, come ha sostenuto Geithner, Segretario al Tesoro degli USA, che dopo un incontro con il ministro delle finanze tedesco, ha invitato l’Unione Europea a trovare un giusto equilibrio tra risanamento del debito e sostegno finanziario, bacchettando implicitamente l’eccessivo rigore a contenere l’inflazione senza intervenire efficacemente sui problemi dei singoli stati.
E proprio questo è il punto: l’Europa ha lasciato ai singoli stati membri l’organizzazione e la risoluzione dei problemi fiscali, ritenendoli un problema esclusivamente interno si trova adesso nella scomoda posizione di non poter definire univocamente i criteri di azione per scongiurare nuove crisi dei debiti sovrani (per intenderci le crisi che hanno colpito Grecia e Irlanda), ma limitarsi a costituire semplicemente un “fondo comune salva stati” che, anche se dotato di 750 miliardi di euro, non potrebbe mai reggere l’urto del mercato che ragiona su ben altre cifre.
Sarebbe stata più adeguata una maggiore coesione e collaborazione, anziché ogni volta mediare posizioni intransigenti come quella tedesca, olandese e austriaca, che grossi problemi di debito non ne hanno, con stati più sensibili ai problemi debitori, maggiormente a rischio di nuove crisi.
E qui veniamo alla mia obiezione principale: alzare i tassi in Europa è, al momento, prematuro.
L’inflazione ha due cause: una endogena e una esogena. Quella endogena, ovvero interna allo stesso sistema, è legata alla crescita economica: maggiore è la crescita economica, maggiore è l’inflazione.
Quella esogena, ovvero esterna al sistema in oggetto (nel nostro caso l’Europa), dipende dai beni importati, principalmente dalle materie prime. E’ indubbio, e lo riconosce lo stesso Bini Smaghi, che attualmente la nostra inflazione è guidata da cause esogene. Può il taglio dei tassi di interesse intervenire su cause esterne? Assolutamente no, perché le banche centrali non riescono più a intervenire sulla dinamica dei prezzi delle materie prime, perché la rimappatura dell’economia mondiale ha dato spazio a nuovi player, peraltro aggressivi, come i paesi emergenti e totalmente fuori controllo da parte della BCE e della FED.
E’ illusorio pensare che i prezzi delle materie prime come petrolio e rame saranno fatti nei prossimi anni da operatori europei e americani, quindi, per quanto riguarda la BCE, è inefficace attuare politiche monetarie restrittive non tenendo conto che l’inflazione è maggiormente importata dalla pressione delle materie prime, che salgono per una maggior richiesta di paesi fuori dall’Unione e che consumeranno sempre di più in funzione di un PIL che cresce da anni a cifra doppia. E questo si vede su tutte le materie prime, anche sugli alimentari.
Aumentare i tassi di interesse, quindi, avrà come risultato quello di raffreddare la crescita economica europea, che lo stesso Bini Smaghi, ha definito ancora incerta, senza riuscire ad intaccare le cause esogene dell’inflazione. Per altro, in questo momento, a causa delle tensioni nel Medio Oriente e in Africa, vi è stato un grosso aumento del prezzo del petrolio e di alcune commodities, che ovviamente genera un aumento del’inflazione, ma, quando queste tensioni spariranno, anche la tensione inflattiva sul petrolio verrà a mancare, determinando quindi un ribasso o quanto meno un calmieramento dell’inflazione.
Aumentare adesso i tassi di interesse rischia di essere un enorme danno per l’Europa: aumenterà i costi per i paesi fortemente indebitati (tra cui Italia e Spagna), generando nuove tensioni sui mercati obbligazionari e valutari, strozzerà le imprese che si troveranno strette tra un aumento dei tassi di interesse (che significa maggiori costi per i finanziamenti) e le tensioni inflattive che non saranno scalfite dalle decisioni della BCE.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati
In effetti sembrano più i contro che i pro al rialzo dei tassi.
http://banca-del-risparmio.blogspot.com/2011/03/pro-e-contro-il-rialzo-dei-tassi-in.html
paolo, hai perfettamente ragione