postato il 14 Gennaio 2012 | in "In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo, Riforme"

Le liberalizzazioni sono una battaglia di civiltà

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Ho sempre ritenuto l’assenza di concorrenza come il sintomo di una Paese malato, nel mercato, così come nella vita di ogni giorno. Sono sempre stato convinto che lì dove c’è concorrenza (e quindi l’opportunità di scegliere tra almeno due offerte diverse e magari alternative), ci siano libertà e migliori condizioni di vita. Ho sempre pensato che – per dirla con Einaudi – “la libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica”: per questo sono sempre stato un avversatore di quelle corporazioni che godono fino ad oggi di un trattamento privilegiato sul mercato, attraverso una rigida e inflessibile difesa del proprio status quo, e che si stanno opponendo, in questi giorni, al piano di liberalizzazioni messo a punto dal Governo Monti. L’introduzione, infatti, di una maggiore concorrenza all’interno di questo sistema, finirebbe con lo scardinare le varie lobbies e trusts, costringendo quelli che finora sono stati i produttori unici di un dato servizio a confrontarsi con le leggi del mercato e con i diritti del consumatore.

Non mi stupisco quindi delle proteste dure e selvagge che alcune di queste corporazioni stanno mettendo in atto contro il pacchetto di liberalizzazioni. Non me ne stupisco, principalmente perché comprendo l’errore ideologico che sta alla base di questo genere di reazioni: rinunciare ai propri privilegi è sicuramente indigesto, specie poi se si pensa che le liberalizzazioni siano una sorta di punizione nei propri confronti. Dimenticandosi, quindi, che un regime concorrenziale è favorevole per tutti: per ovvi motivi per i consumatori, ma anche per i produttori, che avrebbero tutto da guadagnare da un adeguamento della loro offerta e competitività. Anche perché, così come hanno sottolineato lo stesso Monti e il sottosegretario Catricalà più volte, le liberalizzazioni non riguarderanno solo una professione: saranno a 360° e interesseranno tutte le castine che vanno eliminate. Per questo bisogna agire, in profondità, dai tassisti ai farmacisti, dai notai agli avvocati, dall’energia ai servizi pubblici locali. Come ha anche ricordato Casini, le liberalizzazioni «devono essere fatte non solo per i soliti noti, ma anche per i poteri forti. Serve più concorrenza, più vantaggi per i consumatori, le liberalizzazioni non devono riguardare solo taxi e farmacie o giornali, ma anche i servizi pubblici locali e i poteri forti».

Le liberalizzazioni – secondo la stima fornita dall’Adiconsum – porterebbero a un risparmio medio di più di 1000 euro a famiglia e a un aumento del Pil tra l’1 e il 2% e rappresenterebbero un altro importante intervento strutturale – dopo quello sulla riforma previdenziale e quello atteso sul mercato del lavoro – che contribuirebbe ad ammodernare il nostro sistema Paese. Per questo non possiamo accettare di arrenderci di fronte alla minaccia di scioperi preventivi o senza scadenza: bisogna ascoltare la maggioranza silenziosa d’Italia (che ha cominciato ad alzare la voce, però) che è stanca di subire ricatti e di dover capitolare di fronte alla difesa degli interessi particolari. Le liberalizzazioni sono una battaglia di civiltà, una battaglia di libertà. Per questo dobbiamo vincerla.

2 Commenti
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Francesco
Francesco
13 anni fa

La liberalizzazione deve essere a 360°, anche nel mercato del lavoro, e nel pubblico impiego, non è la liberalizzazione dei tassisti che cambia l’Italia. Dobbiamo decidere se essere realmente competitivi, oppure se darla vinta a chi difende i suoi privilegi, lasciando affondare tutto il Paese.

Angelo
Angelo
13 anni fa

In via di principio posso essere anche d’accordo ma è l’esperienza delle liberalizzazioni già attuate che mi lascia perplesso circa il reale vantaggio che il consumatore avrebbe in termini di eventuali minori prezzi pagati.
Mi spiego meglio.
-In Italia, molto tempo fa, ormai, fu liberalizzato il prezzo della benzina. Con la concorrenza libera fra compagnie si sarebbero dovuti avere vantaggi per i consumatori: la realtà delle cose ci dice che è accaduto tutto il contrario.
– nel 1994 furono liberalizzate le tariffe Rc Auto, fino a quel momento stabilite dallo Stato, sempre con la assicurazione che la libera concorrenza avrebbe portato a tariffe più basse. Vi risulta forse sia avvenuto?
Girando in internet ho trovato questo trafiletto, circa la privatizzazione dell’acqua, che trovo emblematico:
“Un esempio è quanto avvenuto in Bolivia, dove nel 1999 la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo impose la privatizzazione della rete idrica alla città di Cochabamba come condizione per un prestito di 25 milioni di dollari. La conseguenza della privatizzazione è stata un aumento delle tariffe fino al 400%, con un’incidenza sul salario medio di un boliviano del 20%. Questa situazione ha portato nel 2000 a violenti scontri di piazza e alla ripubblicizzazione del servizio idrico nazionale.”

D’altra parte anche da noi, man mano che la sanità ha iniziato a trasformare ASL in aziende, pur ammettendo tutti i vizi che ancora ci sono per ingerenze politiche sulle conduzioni, ci troviamo al depauperamento delle attività degli ospedali (almeno nella mia regione) con riduzioni di posti letto, accorpamento di reparti. Questo favorisce il sorgere di strutture private che sopperiscono alle deficienze del pubblico. Sarà un caso, però, che le strutture private forniscono servizi per loro molto remunerativi ma, ripeto almeno per le conoscenze della mia regione, nessuna ha la rianimazione e se ce ne fosse bisogno lo si scarica sul pubblico.
Con questo voglio dire che occorre stare attenti nel liberalizzare e privatizzare, perché si corre il rischio di devolvere al privato i guadagni e si lascia al pubblico gli oneri. Separare le reti dalla distribuzione vuol dire lasciare sulle spalle del pubblico (le nostre) tutti gli oneri dell’ammodernamento delle reti e la loro manutenzione ed al privato i guadagni della distribuzione.

Le liberalizzazioni, nel senso di maggiori imprenditori nel settore, vanno bene se c’è ancora capienza nel rapporto numero di imprese/potenziali consumatori. Questo perché in ogni attività si deve sempre tenere d’occhio la sostenibilità dell’attività stessa. Ciascuno di noi non va a lavorare per Hobby ma per poter dare il giusto sostentamento alla propria famiglia. Il prossimo passo, altrimenti, sarà l’ufficializzazione della liberalizzazione illegale che ora esiste nel mondo del lavoro dipendente quando si ricorre a mano d’opera sottopagata ed in nero, che fa concorrenza ai lavoratori con contratto. Ve lo immaginate? Lavora solo chi offre la propria prestazione lavorativa al prezzo minore. Nei sub-appalti non è già così, a scapito della sicurezza sul lavoro?
Con i costi fissi , in termini di carburanti, assicurazioni, manutenzioni del mezzo, tasse e così via, non credo che un proliferare dei taxi, senza un minimo di contingentamento, renda possibile la sostenibilità di una attività, se non a scapito del servizio reso. I nostri taxi, per la quasi totalità, sono mezzi nuovi e confortevoli, ma se scendono i ricavi, siamo sicuri che i gestori del servizio si ritrovino i soldi per mantenere efficienti i loro mezzi o correremo il rischio di dover salire su automezzi vecchi e logori, anche a scapito della sicurezza di chi ci lavora oltre che di chi ci sale?
Io non credo che un eventuale lieve miglioramento delle tariffe porti automaticamente un numero di clienti tale da adeguarsi all’incremento dei mezzi. Per farlo occorrerebbe scoraggiare l’uso delle autovetture private nei centri urbani; a quel punto, però, sicuramente tornerebbero a riaumentare le tariffe.E’ vero che, come in tutti i settori, ci sono comportamenti discutibili che vanno sanzionati in quanto tali. Da qui a dire che la categoria è formata da approfittatori che si arricchiscono alle spalle di inermi clienti ce ne passa. Non mi pare si sia mai arricchito nessuno facendo il tassista.
Quello che non dovrebbe essere permesso è il commercio della licenza. La licenza è pubblica, ed in quanto tale si paga una tassa di concessione governativa, quindi è dello Stato. Per quale ragione deve essere oggetto di compravendita tra privati? Quando, chi ha la concessione, non può più esercitare la professione per qualsiasi motivo, questa deve ritornare in mano pubblica che provvederà a riassegnarla, in base ad una graduatoria, ad un concorso o in qualsiasi altra maniera idonea a garantire l’imparzialità dell’assegnazione. Si potrà pretendere un miglioramento della figura professionale del tassista in maniera da fornire un miglior servizio alla clientela. Non sarebbe male, per esempio, pretendere che si conosca almeno una o più lingue straniere, visto che siamo in un Paese a vocazione turistica; oppure che il tassista sia perfettamente padrone della toponomastica della città in cui opera, come avviene in Inghilterra; Oppure frequenti un corso che lo abiliti anche a guida turistica, cosa che oggi magari qualcuno pratica in maniera abusiva.
Credo che, più che sul numero, si debba agire sulla qualità dei servizi che si offrono.
Io diffido molto delle liberalizzazioni fatte per “moda”: spesso si rivelano più dannose che utili per i consumatori.
Un’ultima provocazione: dal momento che un servizio, qualsiasi esso sia, deve produrre un profitto per l’imprenditore privato, chi mai andrà a consegnare giornalmente della posta in piccole frazioni, con i pochi centesimi di francobollo. Certamente non sussiste il problema per i centri più grandi e remunerativi.
Morale: non è che quando c’è da fornire un servizio in “perdita” dovrà pensarci lo Stato e quando invece c’è da guadagnare qualcosa allora occorre il privato?
Avrei da dire anche sulla liberalizzazione delle farmacie, ma sono troppo lungo e per il momento mi fermo qui.



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