postato il 3 Dicembre 2010 | in "In evidenza, Lavoro e imprese, Riceviamo e pubblichiamo"

L’Edilizia, una via per “costruire” lo sviluppo in Italia

Oltre alle proteste degli studenti per la riforma Gelmini, in questi giorni vi è stata un’altra protesta: quella promossa per la prima volta dall’ANCE (Associazione nazionale Costruttori Edili) per presentare un pacchetto di dieci punti per rilanciare il settore edile in Italia.

Questa protesta presenta una caratteristica “nuova” per l’Italia: ha visto sfilare assieme sia gli imprenditori del settore che i lavoratori, segno che entrambi gli “schieramenti” produttivi vogliono superare una sterile contrapposizione per cercare di risolvere i veri problemi che strozzano questo settore economico che registra numeri preoccupanti: 250.000 posti di lavoro persi, +300% di ricorso agli ammortizzatori sociali, oltre il 20% di riduzione delle produzioni di materiali da costruzione, -70 miliardi di valore complessivo delle produzioni, ritardati pagamenti della PA fino a 24 mesi.

Ma cosa chiede l’ANCE? Sostanzialmente l’associazione rileva che le amministrazioni pubbliche hanno il paradosso di non poter spendere, pur in possesso delle necessarie risorse finanziarie, pena la certezza di incorrere nelle sanzioni previste dal superamento del tetto imposto dal Patto di stabilità.

In altre parole, ed è questo il paradosso, regioni ed enti locali incorrono «nella perdita delle risorse comunitarie a seguito del mancato raggiungimento degli obiettivi di spesa previsti da Bruxelles».

Il costo di questo paradosso è semplicemente enorme: le risorse che rischiano di saltare per questa trappola ammontano in tutto a 15 miliardi di fondi Fesr e 27 di fondi Fas di ambito regionale.

Per superare questo problema diventa necessario procedere ad una accurata revisione delle regole del Patto interno di stabilità volte a salvaguardare gli investimenti per la competitività e lo sviluppo. Concretamente questo si può ottenere tramite una «nettizzazione completa» degli investimenti promossi attraverso i fondi comunitari (attualmente sono esclusi dal calcolo del patto solo per il 50%) e attraverso le risorse dei Fas regionali. Il risultato sarebbe che le spese di cofinanziamento dei fondi comunitari non vengano considerate fra le uscite e siano quindi escluse dai tetti di spesa stabiliti dal Patto di stabilità per le Regioni.

Altri provvedimenti utili per rilanciare il settore sarebbero la semplificazione delle procedure amministrative e rafforzare i controlli, attivare strumenti di lotta alla legalità, estendere all’edilizia gli ammortizzatori sociali definiti per l’industria.

La protesta di oggi, oltre al sostegno dei sindacati e di Confindustria, ha visto anche il sostegno dell’UDC nelle vesti degli onorevoli Libè, Galletti, Compagnon e De Poli che hanno dichiarato: “L’Udc chiede da tempo di fornire soluzioni ai problemi di un comparto vitale per il sistema-Italia, specialmente in un momento di profonda crisi economica come quello che stiamo vivendo. Senza un vero rilancio del settore edile, la ripresa della nostra economia sara’ molto piu’ difficile.”

Inoltre, i parlamentari dell’UDC hanno portato avanti alcune proposte per aiutare il settore: “lo sblocco dei crediti che le aziende vantano nei confronti degli enti locali, somme che gli imprenditori hanno diritto a vedersi liquidate e che per molti di loro rappresenterebbero una vera e propria boccata d’ossigeno. Allo stesso modo, siamo convinti che rispetto alle grandi opere si debba dare la precedenza a quelle immediatamente cantierabili, un volano che farebbe ripartire il settore”.
Mentre l’on.le De Poli ha dichiarato che la crisi del settore edilizio sta mordendo con particolare violenza il Veneto.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Caterina Catanese



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