L’italia, nuova spugna intrisa di petrolio?
“Riceviamo e pubblichiamo”
di Gaspare Compagno
Mentre il mondo in generale e gli USA in particolare sono con il fiato sospeso per il disastro ecologico della marea nera fuoriuscita dalle trivellazioni off shore della BP, in Italia si prosegue come se nulla fosse successo.
Intendiamoci, non intendiamo colpevolizzare l’industria del petrolio, capiamo quanto sia necessaria questa fonte energetica e capiamo quanto sia importante come possibilità lavorative in un momento in cui tutte le aziende italiane sembra che stiano abbandonando l’Italia, però abbiamo dei timori legati all’ambiente, oltre che alla possibilità che le nostre ricchezze vengano depredate senza ricevere nulla in cambio, come ad esempio è successo in Basilicata dove, ai pozzi petroliferi, è seguita una bassa ricaduta in termini occupazionali e di nuove attività di sviluppo.
Sull’ambiente registriamo quanto affermato dal WWF, soprattutto per gli scarichi a mare: “nel Mediterraneo, appena l’1% dei mari del Pianeta, si concentra secondo il Wwf il 28% del traffico mondiale di petrolio, ovvero 300 petroliere che rilasciano complessivamente una scia nera di 2.800 tonnellate di petrolio al giorno, ovvero 280 scarichi illeciti al giorno, mentre quelli scoperti dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa) nel solo 1999 tramite satellite sono stati 1.638, che equivalgono a 17.000 kmq. di petrolio versato in mare, tre volte la superficie della Corsica”.
Cosa si potrebbe fare per prevenire ulteriori danni? Il Wwf ha chiesto un impegno per l’adozione di misure che rendano vantaggioso lo scarico delle acque di cisterna presso i depositi costieri e rischioso e svantaggioso il lavaggio a mare, comprese severe sanzioni, chiedendo inoltre la creazione di Aree marine particolarmente sensibili (PSSAs), con severe regole per ogni area (9 quelle identificate nel Mediterraneo, tra le quali anche il Nord Tirreno, oggi Santuario dei cetacei), il bando alle petroliere senza doppio scafo (un sistema di sicurezza che evita l’immediata fuoriuscita in caso di incidente), l’identificazione di rotte e aree consigliate o da evitare, l’installazione di sistemi di monitoraggio via satellite per individuare gli sversamenti illeciti, o incidenti, l’introduzione della ‘Blu box’ (come la scatola nera degli aerei) per individuare i ‘colpevoli’ degli inquinamenti e infine l’incremento del numero di porti in grado di effettuare lavaggi delle cisterne” (fonte: dichiarazione del wwf).
A questi problemi si aggiunge l’ipotesi di nuove trivellazioni sul suolo e nel mare italiano mettendo a rischio il patrimonio naturale della nazione.
Ad esempio la Shell, il colosso anglo-olandese del petrolio, ha inviato la nave Atlantic Explorer nel canale di Sicilia per stabilire se in quei fondali vi è davvero uno dei giacimenti più importanti di tutta l’Europa.
Il problema della profondità è facilmente superabile, in quanto le nuove tecnologie permettono di scendere nel sottosuolo oltre i 5 mila metri agevolando, quindi, anche le ricerche più complesse: alle tradizionali piattaforme off shore e navi trivellazioni, spesso si sostituiscono piattaforme subacquee quasi totalmente automatizzate, similmente a quella costruita dalla BP lungo le coste USA e che in questi gironi è protagonista della marea nera.
Ovviamente sono impianti costosi, ma alla Shell stimano di realizzare un impianto che potrà estrarre circa 150 mila barili al giorno, cifra iperbolica persino accostata al rendimento dell’altro grande giacimento attualmente in Italia: quello di Val d’Agri (in Basilicata) che già garantisce alla Shell 85 mila barili al giorno, pari a circa l’8% dei consumi italiani. Questi due impianti darebbero all’Italia il “titolo” di paese con più idrocarburi nell’Europa continentale. La Shell inoltre ha deciso di sondare anche altre zone dell’Italia tra cui il golfo di Taranto, Purtroppo l’area siciliana interessata dalla Shell è compresa tra Pantelleria e le isole Egadi, un’area che interessa 45.000 km quadrati ad alta concentrazione naturalistica e vi è compresa l’Area Marina protetta delle Isole Egadi, la più grande del Mediterraneo, nonchè una zona di cautela marina particolare quale l’isola di Pantelleria, tanto che a breve le Egadi e Pantelleria dovrebbero essere dichiarate parchi nazionali.
Ma non basta, perché oltre alla Sicilia e alla Puglia anche la Basilicata vede l’interesse dei gruppi petroliferi, infatti il WWF ci segnala che, “nelle zone di Oliveto Lucano e Palazzo San Gervasio e Mar Ionio, i permessi di ricerca rischiano di ampliare il territorio regionale interessato dalle attività petrolifere. Mentre la marea nera nel Golfo del Messico sta causando una delle più gravi catastrofi ambientali mai verificate con danni incalcolabili agli ecosistemi ed alle economie delle popolazioni costiere ed il Presidente Obama impone il blocco delle trivellazioni in mare, la Basilicata è sempre più assediata dalle compagnie petrolifere che non hanno alcun riguardo per il territorio ed i suoi abitanti.
La scorsa settimana infatti il Presidente del WWF Italia, Avv. Stefano Leoni, è dovuto intervenire presso il Ministero dello Sviluppo Economico chiedendo di non autorizzare il permesso di ricerca idrocarburi “Oliveto Lucano” richiesto dalla Esso e dalla Total, che ricade in buona parte nel Parco Regionale Gallipoli Cognato – Piccole Dolomiti Lucane, istituito con l.r. n.47/1997 che all’art. 19 prevede espressamente il “divieto di ricerca ed estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi” ; l’area inoltre interessa anche le Aree SIC e ZPS di “Foresta Gallipoli Cognato ” “Bosco di Montepiano” e “Dolomiti di Pietrapertosa , individuate per la presenza di numerosi habitat e specie prioritarie tutelate dalla legislazione comunitaria.
Fortissima preoccupazione ha espresso anche il WWF Italia nel comunicato stampa diramato il 1° maggio sull’autorizzazione rilasciata dal dimissionario Ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola a Shell Italia per il permesso di ricerca petrolifera offshore nel Golfo di Taranto che interessa il tratto di mare antistante la costa che da Trebisacce arriva quasi sino a Nova Siri.
Il WWF sta lavorando inoltre per presentare proprie osservazioni nel procedimento relativo alla VIA presentata dalla società Texana “Aleanna Resorces LLC” al Dipartimento Ambiente della Regione Basilicata per il permesso di ricerca di idrocarburi “Palazzo San Gervasio”.” (fonte: WWF)
Nessuno ha preclusioni per i possibili sviluppi industriali legati allo sfruttamento dei giacimenti italiani, ma pensiamo che bisognerebbe sviluppare la green economy e tutelare l’ambiente, e siamo convinti che si possa fare convivere sviluppo economico e tutela dell’ambiente.
Ma beeene…. così ci ritroviamo la marea nera pure da noi…. poi dicono che vogliono puntare sul turismo…
kissà quanto hanno pagato scajola per dare il via alle trivellazioni.
bishop, non so di scajola… ma di certo prima di fare delle trivellazioni devono darci delle precise garanzie… e assicurazioni
e intanto in sicilia le pale eoliche non girano, come ha denunciato il corriere tre gironi fa….
Articolo molto interessante, ma perchè non diciamo chiaramente che senza nucleare non si va da nessuna parte? Come potrebbero le rinnovabili da sole intaccare il predominio dell’oro nero?
Ci vuole buon senso e ragionevolezza per puntare con decisione al nucleare, per arrivare ad un giusto mix fatto di nucleare, rinnovabili, idroelettrico e altre.
Buona giornata.
io non sono contro il petrolio, ma come sempre i petrolieri e i politici corrotti non permettono un efficiente utilizzo di questa risorsa. un esempio, in basilicata il petrolio ha portato inquinamento, disoccupazione, disastri ambientali, danni alla salute umana, distruzione di flora e fauna. un altro esempio per farmi capire: i prodotti dell’orto sono ricoperti di una patina oleosa dovuta all’inquinamento. quella patina non va via dall’ortaggio, e viene ingerita dagli abitanti di quelle zone. in più c’è un tanfo mostruoso dovuto agli scarichi solforosi dei pozzi che vengono respirati dagli abitanti del luogo. lascio a voi ogni considerazione. io dico solo che in basilicata sono mancati politici seri, coraggiosi, intelligenti e preparati.
Gianni: vero, ma dipende anche da quale nucleare.
Negli USA sperimentano centrali nucleari che durano 100 anni, hanno un minore impatto ambientale e funzionano ocn uranio impoverito (quindi meno inquinante).
In gran Bretagna stanno inizando a costruire delle centrali sperimentali che dovrebbero funzionare secondo principi della fusione (impatto ambientale molto molto basso).
Noi prendimao tecnologie dalla Francia che sono già vecchie.
Antonio, sono pienamente d’accordo con te.
INoltre i soldi delle royalties sono stati usati molto male in basilicata.
L’Italia che fu, le trivellazioni piemontesi:
http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_12/pozzo-italiano-crollo_55648588-5df4-11df-8e28-00144f02aabe.shtml
gianluca, alla fine la storia è piena di corsi e ricorsi storici…