postato il 23 Ottobre 2010 | in "Giustizia, In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo"

Lodo Alfano, ascoltiamo il Quirinale

Lo Stendardo del Presidente della Repubblica di  GilyoQuando una voce autorevole scende in campo è doveroso prestare orecchio. Soprattutto se questa voce va anche contro il suo stesso interesse di parte.

La voce in questione è quella del Capo dello Stato che ieri ha definito irragionevole lo scudo giuridico alle più alte cariche dello Stato. Il suo giudizio è stato critico ma non per questo invasivo nell’operato del Parlamento. Ha espresso perplessità sull’estensione del cosiddetto Lodo Alfano anche al Capo dello Stato poiché ne limiterebbe l’indipendenza e sarebbe in contrasto con l’articolo 90 della Costituzione.

Le parole di Napolitano arrivano in un periodo in cui regna la confusione istituzionale e imperano le forzature di una maggioranza barcollante. L’ennesima discussione sullo scudo, oggi chiamato lodo Alfano ieri lodo Schifani e così via, ha spostato il tiro da legge ordinaria a legge costituzionale. Non entrando nel merito tecnico della legge, le paure del Capo dello Stato sono relative all’aura di impunità che aleggia sul Lodo.

In ogni sistema democratico chi sbaglia è chiamato a pagare in misura proporzionata alle colpe commesse. E sempre in ogni sistema democratico maturo i rapporti tra giustizia e politica sono di reciproco rispetto e non di reciproca ingerenza. Per ovviare a questo che oggi in Italia si continua a parlare di lodo Alfano. Come ribadiva lo stesso Casini, “il lodo Alfano non ci piace, ma dobbiamo contribuire a rasserenare il rapporto tra politica e magistratura”. È questa la strada maestra da seguire. Rasserenare il rapporto tra politica e magistratura significa ricucire uno strappo ormai ultradecennale e riprendere il cammino verso il compimento di una democrazia matura.

Ma gli sforzi in questa direzione non devono e non possono finire qui. Così come quando si avverte il rischio di piena di un fiume la prima cosa da fare è rinforzare gli argini e solo poi costruire una diga a monte per evitare una nuova piena, anche qui la prima cosa da fare oggi è rinforzare un argine di non ingerenza per iniziare a lavorare già da domani con impegno e correttezza istituzionale ad una riforma della giustizia che completi e non distrugga il sistema attuale.

E sempre su questa scia che bisogna ascoltare le parole di autorevoli rappresentanti delle Istituzioni, e non lasciarle cadere nel dimenticatoio, utilizzandole come faro dell’attività legislativa per perseguire sempre ed in ogni modo il pene del Paese, unico vero obbiettivo di ogni uomo politico.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Cannatà



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