postato il 2 Aprile 2025 | in "Rassegna stampa"

Era Karol Wojtyla. Sapeva parlare a tutti e abbatté ogni confine

A vent’anni dalla morte del Papa polacco

Il 2 aprile di vent’anni fa si spegneva Karol Wojtyla, il Papa che ha segnato per decenni la storia dell’umanità e rappresentato per più generazioni, la mia in particolare, un riferimento assoluto nel cammino della vita.

Si è detto molto del coraggio di questo Papa venuto da lontano, della sua capacità di leggere e interpretare i tempi nuovi e della sua convinzione che la missione propria della Chiesa, per quanto ancorata alla trascendenza, è pur sempre una missione storica. Se infatti con il Concilio Vaticano II la Chiesa è entrata nella modernità, è solo con Giovanni Paolo II che ne è diventata autentica interprete.

La sua parola e la sua azione sono state una presenza viva e determinante nei grandi fenomeni dell’ultimo quarto del XX secolo: dal processo di democratizzazione dell’Europa orientale culminata nella caduta del muro di Berlino, ai suoi appelli per la soluzione pacifica di conflitti – in occasione della guerra del Golfo e del conflitto balcanico -, dalle rivendicazioni a difesa dei diritti umani, al nuovo slancio verso il dialogo interreligioso.

È stato un uomo capace di parlare al mondo abbattendo tutti i confini politici, ideologici e religiosi. La sua umanità senza frontiere lo ha portato a viaggiare in ogni continente, in Paesi mai toccati prima da un Pontefice e a chiedere perdono per gli errori commessi dalla Chiesa nel corso della storia che hanno segnato un passaggio storico di umiltà e di verità.

Un gigante, la cui grandezza si coglieva nella semplicità dei gesti quotidiani, in grado, come nessun altro, di comunicare con i giovani, le sue “sentinelle del mattino”. Da quel “se mi sbaglio mi corrigerete” nel giorno della sua nomina ha conquistato tutti, compresi quanti avevano manifestato dubbi sul fatto che il nuovo Papa fosse straniero, il primo dopo 455 anni.  Alla fine sarebbe stato lui a “correggere” l’intera umanità infondendo nuova vitalità al messaggio cristiano: un messaggio di tolleranza e di fiducia profonda e sincera nelle ragioni della pace e dell’uomo.

Un Papa tanto amato proprio perché la sua santità si è sempre manifestata in un’umanità piena, riuscendo a entrare direttamente in contatto con le sofferenze e le speranze di tante persone. La ricerca continua di vicinanza ad ogni essere umano lo hanno reso un Pastore in grado di attrarre e sedurre con la simpatia, l’entusiasmo e la spontaneità delle sue parole e delle sue preghiere anche chi non aveva il dono della fede.

L’invocazione “Santo Subito” salita prepotentemente dalla folla in Piazza San Pietro dal giorno stesso in cui Papa Wojtyla ha concluso il suo cammino terreno, ha simboleggiato chiaramente l’atto d’amore del popolo di Dio verso questo straordinario interprete della complessità della Chiesa e della nostra epoca.

Anche chi lo aveva più volte apostrofato come reazionario e conservatore ne riconoscerà, successivamente, l’incomparabile grandezza.

Nel segno di una profonda consonanza spirituale, i suoi successori, pur con differenze di stile, personalità e formazione, hanno proseguito il cammino tracciato da Giovanni Paolo II, in straordinaria continuità col suo magistero.

Benedetto XVI ne ha approfondito l’insegnamento teologico sul piano dottrinale, Francesco – con un approccio pastorale più diretto e meno accademico – ne ha incarnato l’ideale di una Chiesa missionaria.

La loro è stata ed è la voce di una Chiesa capace di rispondere ai bisogni dell’uomo e di orientarne le aspirazioni, offrendo una guida non solo ai fedeli, ma a tutta l’umanità in ogni epoca di crisi e incertezza.

Sen. Pier Ferdinando Casini, ex Presidente della Camera dei Deputati

0 commenti

IN EVIDENZA2

Il mio sogno è rivedere un Papa in Parlamento

Il mio sogno è rivedere un Papa in Parlamento

La visita di Wojtyla 20 anni fa e la spinta decisiva di Ciampi La mia intervista al Corriere a cura... [Continua a leggere]


Nuova spinta per il ruolo dei cattolici, Zuppi con la politica non farà da spettatore

Nuova spinta per il ruolo dei cattolici, Zuppi con la politica non farà da spettatore

L’intervista pubblicata su Il Messaggero a cura di Alberto Gentili Pier Ferdinando Casini risponde... [Continua a leggere]



IPU 141: IL MULTILATERALISMO LA GRANDE CONQUISTA DEL XX SECOLO, UNICA OPPORTUNITÀ DI PACE

IPU 141: IL MULTILATERALISMO LA GRANDE CONQUISTA DEL XX SECOLO, UNICA OPPORTUNITÀ DI PACE

Il mio intervento nell’ambito dei lavori della 141esima Assemblea dell’Unione Interparlamentare... [Continua a leggere]


Ant: In memoria di Franco Pannuti

Ant: In memoria di Franco Pannuti

Onorevoli colleghi, lo scorso 5 ottobre abbiamo appreso con commozione e immenso dolore che il Prof.... [Continua a leggere]



postato il 24 Febbraio 2025 da redazione | in "Esteri, Rassegna stampa"

Ucraina: «Putin ha violato le regole, ha occupato Donbass e Crimea. Ora garanzie per l’Europa»

«No a capovolgere la realtà, è stata la Russia ad occupare il Donbass e la Crimea. Meloni? Utilizzi il rapporto con Trump per difendere le ragioni Ue»

L’intervista di Mario Ajello pubblicata sul Messaggero

Pier Ferdinando Casini, la guerra in Ucraina dura da tre anni. E ora come uscirne?

«Questa è una guerra che non doveva mai essere fatta. Sono caduti sul terreno migliaia e migliaia di morti, mandati allo sbaraglio dagli uni e dagli altri. Ma il responsabile di questo massacro è uno solo e si chiama Putin».

Non sembra questa però la lettura prevalente oggi. Ha visto che Trump sostiene che ha scatenato tutto Zelensky?

«È Putin che ha violato le regole della legalità internazionale, è lui che ha occupato il Donbass e la Crimea, ed è lui che s’illudeva di prendere l’intera Ucraina nel giro di qualche giorno».

Perché questa evidenza non è riconosciuta da tutti?

«Perché è in corso un gigantesco capovolgimento della verità».

Zelensky non ha qualche colpa?

«Sì, la più grande è quella, per i suoi detrattori, di non aver accettato di scappare. Per me, questo è stato un merito e la storia gliene renderà atto».

Ha appena detto il presidente ucraino che è pronto a dimettersi «immediatamente», se il suo Paese viene fatto entrare nella Nato. Lei che cosa pensa di questa mossa?

«Penso che, in un momento in cui tutti giocano, Zelensky fa benissimo a stare al gioco. E soprattutto, considerando che i territori persi non saranno mai riconquistati, il problema è lo status futuro dell’Ucraina. Perché noi abbiamo il diritto, come europei, di essere garantiti sul fatto che tra qualche anno, una volta accettata la tregua, Putin non ricominci prendendo di mira qualche altro territorio ai confini con la Russia. Il tema è quello delle garanzie per la sicurezza futura dell’Ucraina ed è questo il tema che riguarda noi europei da vicino».

Lei vede in Europa una mollezza o un’incoscienza modello Monaco 1938?

«Io vedo che tra qualche giorno, per qualcuno, la narrativa sarà quella secondo cui Zelensky ha invaso la Russia e Putin si sta difendendo: una vergogna assoluta, che contraddice tutti i valori dell’Occidente, almeno quelli per cui si è spesa la mia generazione».

L’Ue, rispetto all’Ucraina, ha fatto o non ha fatto ciò che ci si aspettava facesse?

«Ha compiuto il suo dovere. Più di così, non poteva fare. E ha agito in termini economici, come sostegno al Paese aggredito, più degli Stati Uniti. Il problema è che l’Europa è affetta da nanismo politico. Ed è singolare che, a rimproverarglielo, siano proprio quei sovranisti che rifiutano di delegare potere all’Unione europea».

Non le sembra che Meloni sia diventata più tiepida, tre anni dopo, nei confronti dell’Ucraina?

«Constato un imbarazzo crescente del governo. Per fortuna l’altro giorno, alla convention dei conservatori americani, la premier ha avuto la dignità di dire che l’Ucraina va difesa. Per qualcuno, questo è il minimo che Meloni dovesse fare. Per altri, come il sottoscritto, non era così scontato, visto che il clima che si respirava in quella convention. Mi auguro che Meloni utilizzi il suo rapporto con Trump per difendere le ragioni dell’Europa e non per assecondare l’onda che rischia travolgere l’Occidente».

Guardi però che Meloni ha condiviso il discorso anti-europeo di Vance.

«Il vice-presidente americano ha detto che dobbiamo difendere la nostra identità cristiana: lo dice anche Putin. La questione non è questa. È quella di difendere l’idea di una democrazia liberale in cui chi vince non è il padrone e deve accettare i pesi e contrappesi. Qui c’è una insofferenza verso ogni forma di controllo democratico che è preoccupante».

Non le sembra che anche Schlein non si stia più immolando alla causa ucraina?

«Sono reduce dalla manifestazione degli ucraini a Roma. Dove il Pd ha detto parole inequivocabili. Il resto è un processo alle intenzioni».

Renzi sul Messaggero ha minimizzato a proposito delle divisioni tra Pd e M5S sull’Ucraina e sostiene che per fare una coalizione non bisogna fossilizzarsi troppo sulle differenze in politica estera. Condivide?

«Ho una visione diversa. La politica internazionale è determinante. Non si può essere credibili, nel fare un programma di governo, senza una considerazione condivisa su ciò che accade nel mondo e su quale debba essere il nostro ruolo nello scenario globale».

Ultima questione: che cosa si aspetta dalla Germania di Merz?

«Credo che una Germania più stabile sia essenziale all’Europa e possa renderla più forte sul fronte ucraino».

0 commenti
postato il 20 Gennaio 2025 da redazione | in "Politica, Rassegna stampa"

«Bettino è stato un innovatore. Svelò il sistema, pagò per tutti»

«Finita la Dc non si può rifare un partito cattolico. Schlein ha rilanciato il Pd, è a metà dell’opera. I finanziamenti illeciti hanno riguardato tutte le forze politiche. Difese la sovranità italiana a Sigonella sfidando gli Stati Uniti»

L’intervista di Antonella Coppari pubblicata sul Resto del Carlino

Nell’ormai lontano 2003, Pier Ferdinando Casini – da presidente della Camera – fu il primo rappresentante delle istituzioni del nostro Paese a recarsi sulla tomba di Craxi ad Hammamet. A soli tre anni dalla sua scomparsa, in molti storsero il naso. Ora l’omaggio non fa scandalo: crea invece perplessità la scelta di non aver agevolato il ritorno del leader socialista per offrirgli le cure necessarie in Italia.

Presidente, come giudica il fatto che Craxi i non si sia potuto curare nel suo Paese?

«Oggi mi sembra orribile, lo era anche ieri ma la vigliaccheria ha fatto mettere a tanti politici al primo posto l’idea che fosse meglio non sfidare l’opinione pubblica – risponde il senatore, eletto come indipendente nelle liste del Pd -. D’altronde, la mancanza di umanità per garantire a Craxi le cure sanitarie migliori coincide con la mancanza di dignità che ebbe il Parlamento quando il leader del Psi fece il famoso discorso sul finanziamento illecito dei partiti, concluso con la chiamata di corresponsabilità e la sfida, a chi volesse smentirlo, a sbugiardarlo in Aula. Tutti rimasero in silenzio».

Visto il clima che c’era all’epoca, perché lei decise di sfidare l’opinione pubblica?

«Mi sembrava giusto riconoscere la dimensione politico-istituzionale di Craxi. La politica non è un pranzo di gala. A volte significa scelte dolorose. È stato giusto liberare un cittadino iraniano per avere Sala indietro? In termini etici forse no, ma in termini politici mi sarei comportato come il governo italiano. Craxi è stato un politico: non era un santo, ma neanche un diavolo. Venticinque anni dopo, la solennità del messaggio del Capo dello Stato mette le cose a posto».

Perché Craxi ha pagato per tutti?

«Perché era un elemento cardine del sistema e perché ha sfidato i giudici ed è diventato l’avversario emblematico. Ma non è stato l’unico: ricordo un galan­tuomo come Forlani condannato ai servizi sociali, Andreotti ac­cusato di essere il mandante di un omicidio con un percorso giudiziario   infinito e, fuori dall’Italia, il più grande statista dell’Europa contemporanea, Kohl, condannato per gli stessi motivi di Craxi. Il clima era giustizialista, però in Italia il sistema si reggeva sul finanziamento illecito. E valeva per tutti: partiti di maggioranza e di opposizione».

Le tangenti non servivano solo per il finanziamento della politica: c’erano anche gli interessi più privati

«C’erano quelli che si arricchivano, ma Craxi non era tra questi».

Come ha cambiato la politica italiana Craxi?

«È stato un innovatore sul piano istituzionale ma anche rispetto alla linea politica del Psi che aveva una tradizione di subalternità al Pci – basti pensare alla sfida ai sindacati con il referendum sulla scala mobile – e soprattutto è stato sublime sul piano della politica estera. Penso alla difesa della sovranità italiana a Sigonella dove ha sfidato gli Stati Uniti, alla consapevolezza che il movimento di liberazione palestinese dovesse essere costituzionalizzato e accettato dalla comunità internazionale come controparte per l’idea di due popoli e due Stati o all’aiuto ai movimenti di liberazione del Sudamerica dalle dittature militari».

Perché l’Italia non ha finito di fare i conti con il craxismo?

«Figuriamoci: l’Italia non ha fatto i conti con la propria storia. Per dire, non abbiamo fatto i conti nemmeno con la Dc, il grande partito della Nazione. Quando sento Meloni dire che finalmente l’Italia ha ripreso il suo posto nel mondo grazie al suo governo mi viene da sorridere. È comprensibile che voglia rivendicare una sua specificità, ma nella globalizzazione l’Italia oggi potrebbe perderlo il suo posto.  Rischiamo l’irrilevanza, nonostante il ruolo della presidente del Consiglio».

Con la fine della Dc si è chiusa per sempre l’esperienza dei cattolici in politica con un loro partito?

«Già negli ultimi anni di vita della Dc non c’era più l’unità dei cattolici attorno al partito, figuriamoci se si può ricreare oggi in condizioni diverse. Chi rappresenta i cattolici? Forse nemmeno il Papa… I cattolici sono una comunità di persone e votano per tutti i partiti, a destra come a sinistra».

Dal progetto di Ernesto Maria Ruffini, lanciato sabato a Milano, può nascere un partito non cattolico ma centrista?

«Mi sembra che sia Prodi che Delrio lo abbiano smentito. Del resto sembra difficile immaginarli fuori dal Pd. Comunque, trovo legittima l’esigenza di allargare la riflessione interna al partito».

Tanto basta per riequilibrare lo sbilanciamento della coalizione a sinistra?

«Bonino, Calenda e Renzi risponderebbero legittimamente di no»

Molti ritengono che questa opposizione non sia in grado di impensierire la maggioranza. È davvero così?

«In effetti, c’è il rischio che l’opposizione di oggi sia un’opposizione di sua maestà: fa il suo lavoro nelle aule parlamentari con grande serietà, ma senza la reale prospettiva di un’alternati­va vincente».

Cosa manca al centrosinistra?

«Schlein ha rivitalizzato il Pd interrompendo la deriva verso una progressiva marginalizzazione. Ma essendo una donna intelligente non può non capire che è solo a metà dell’opera. E senza un disegno credibile che coinvolga settori più ampi e meno omologabili alla sinistra tradizionale non vincerà mai».

0 commenti

«Craxi, una pagina importante della nostra storia. Ora il coraggio della verità»

«Un gigante in politica estera, rinnovò le istituzioni nazionali. I protagonisti della Prima Repubblica non erano santi né demoni» L’intervista... [Continua a leggere]

Sicurezza e immigrazione. L’opposizione riparta da qui

Serve un’area liberal-democratica, ma deve nascere da sola. Il sindaco Lepore a Bologna ha stravinto il referendum sul suo operato Casini, che... [Continua a leggere]

Elezioni USA: «I dem hanno esagerato sulla cultura woke. Per Trump non sarà così semplice il nodo Ucraina»

Temo ora una Ue disunita, serve una sveglia per uscire dall’infantilismo. Appelli inutili dai billionaire di Hollywood. Trump plasma il conservatorismo... [Continua a leggere]






Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram