postato il 5 Giugno 2009 | in "Politica"

Pubblichiamo da Il Messaggero

intervista
«Udc unico antidoto al dominio leghista sul governo» di Claudio Sardo

ROMA – «Il discorso di Barack Obama al Cairo ha una portata storica e contiene il germe di una nuova speranza di pace. Mi viene in mente la celebre frase di Giovanni Paolo II: “Nessuna guerra si può fare in nome di Dio”». Secondo Pier Ferdinando Casini, leader Udc, è giusto partire da Obama per parlare oggi di Europa, delle politiche per uscire dalla crisi, della posta in gioco alle elezioni di domani e domenica, delle vicende di casa nostra. «La novità della Casa Bianca è destinata a mutare gli equilibri planetari. Agirà dentro la crisi economica, e anche per questo dalla crisi uscirà un mondo diverso. Obama guarda alla Cina, ai Paesi emergenti e nel Medio Oriente ha deciso di intervenire in prima persona per tentare di spegnere i focolai di guerra. Si può dire che il G8 sia stato già sostituito dal G20. E tutto ciò pone l’Europa davanti a un bivio. Può diventare un importante attore globale nel tempo nuovo. Però può anche auto-condannarsi al declino».

Cosa dovrebbe scegliere l’Europa? Qual è la partita delle elezioni del 6-7 giugno?«L’Europa diventerà attore globale solo se sarà capace di rafforzare la sua unità e le istituzioni comunitarie. Se i Paesi europei procederanno in ordine sparso, conteranno sempre di meno. E difenderanno peggio gli interessi dei propri cittadini. Per l’Italia i rischi sono ancora maggiori, come ha dimostrato l’esito della trattativa Fiat-Opel. Le elezioni per il rinnovo del Parlamento si celebrano in questo passaggio cruciale. Eppure da noi il confronto è avvilito fino alla meschinità di una contesa attorno alle minorenni, le veline, gli amici che usano i voli di Stato…»

Di chi è la colpa di questo scadimento?«La responsabilità principale è di Berlusconi. Non è stata l’opposizione ad aprire il caso. È stata la moglie, con una lettera. Ed è stato Berlusconi a replicare pubblicamente a Porta a porta. Poi lo stesso presidente del Consiglio, una volta trasformata la vicenda privata in un caso pubblico, si è rifiutato di rispondere alle domande di Repubblica. E così si è proseguito per giorni tra gossip e allusioni, notizie e smentite, con Berlusconi che si crogiolava in tv mostrandosi, come sempre, a suo agio quando lo scontro si trasforma in un referendum pro o contro di lui».

È difficile negargli il diritto di replica visto che è in gioco la sua credibilità e che qualcuno, anche all’estero, comincia a parlare di dimissioni.
«Nessuno gli nega il diritto di difendersi. Fosse stato per me, il caso poteva anche restare privato. È stato lui però a trasformarlo in una questione pubblica. E ora è lui, in tutta evidenza, che preferisce parlare di questo tema per nascondere l’inerzia e la mancanza di idee del governo di fronte alla crisi».

Cosa manca al governo?
«Il vero problema strutturale si chiama Lega. Berlusconi ha consegnato a Bossi le chiavi della politica nazionale. Spiegò la sua alleanza con la natura territoriale della Lega: ora invece il Carroccio presenta liste in tutta Italia. Ma soprattutto è decisivo nelle scelte cruciali: dall’immigrazione alla sicurezza, dalle quote latte al federalismo. In Veneto Berlusconi ha annunciato che darà alla Lega anche la presidenza della Regione. E così la Lega continua a gonfiarsi: è partito di lotta e di governo, mescola potere e demagogia. Il contrario di ciò che, ad esempio in Francia, Sarkozy concede al partito di Le Pen. Noi centristi siamo l’antidoto al leghismo».

Non si registrano comunque differenze incomponibili tra Pdl e Lega su temi come l’immigrazione o la sicurezza.
«Questa è un’ulteriore, grave conseguenza dell’influenza leghista. Obama usa come ramoscello di pace persino l’Islam americano, mentre Berlusconi pochi giorni fa disse no nientemeno che all’Italia multiculturale. Ma come? Già il 10% dell’Europa è costituito da immigrati, senza di loro si fermerebbe la produzione, si impoverirebbe la nostra vita… Un governo dovrebbe preoccuparsi della coesistenza, dell’integrazione, di come favorire lo sviluppo. Invece spesso si fa leva sugli istinti peggiori, sulla paura».

La sicurezza è comunque uno snodo cruciale per i governi dell’Europa e di tutto il mondo.
«Certo. C’è più bisogno di sicurezza. Ma l’insicurezza si combatte innanzitutto contrastando l’illegalità. Serve la certezza del diritto, non gli slogan. Il governo ha ridotto i fondi alla polizia e poi promette 4mila militari nelle strade. Le volanti non hanno benzina e il governo affida la sorveglianza alle ronde, che sono il contrario della sicurezza: è come dire ai cittadini che devono difendersi da soli. La sicurezza sta nella forza e nella presenza dello Stato».

La sicurezza sta anche nelle politiche sociali. Cosa propone l’Udc?
«La questione demografica è una grande questione politica. Mentre va aiutata l’integrazione degli immigrati regolari e contrastato il traffico dei clandestini, dobbiamo aiutare la natalità in Italia. Con politiche a favore della maternità. Ma anche con quegli aiuti alla famiglia, che finora sono state promessi ma non realizzati. A partire dall’introduzione del quoziente familiare. Poi c’è la riforma degli ammortizzatori sociali: ha un bel dire il premier che ci sono 200 euro al mese per i precari che perdono lavoro. Come si può vivere con 200 euro al mese?».

Ammetterà che la crisi economica, per un Paese con un debito pubblico così alto, non può essere affrontata solo aumentando la spesa pubblica.
«Noi dell’Udc siamo i soli a dire che la crisi deve essere l’occasione per fare in Italia le riforme che mai sono state fatte: la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, la riforma previdenziale, l’abolizione delle Province, un riordino vero della Pubblica amministrazione ben al di là delle eccentriche trovate del ministro Brunetta. Questo serve all’Italia per aumentare la competitività del sistema-Paese e per aiutare quei ceti medi, che con i loro risparmi sono stati fin qui la nostra difesa nella crisi ma che ora rischiano di pagare di più gli effetti sociali nel tempo della caduta del Pil».

È in sostanza la richiesta di Confindustria.
«Non solo di Confindustria. Anche il governatore Draghi ha indicato questo percorso. Ma Pdl e Pd sono bloccati da opposti conservatorismi. Qui si tocca con mano il male del bipartitismo italiano, incapace di esprimere governi efficienti. Nel Pdl e nel Pd, comunque, stanno crescendo sofferenze e disagi. Nel Pd i moderati non riescono più a stare insieme agli ex comunisti. E nel Pdl tanti non sopportano più le imposizioni della Lega».

Sta dicendo che Rutelli e Letta, come ha annunciato Berlusconi, potrebbero presto approdare al centro?
«Rutelli e Letta sono dirigenti del Pd, impegnati in campagna elettorale. Non credo che la previsione di Berlusconi sia fondata. In ogni caso il Centro punta ad ampliarsi nella società, nell’associazionismo, non certo nel ceto politico. Diventeremo più grandi, ne sono sicuro, ma ciò non avverrà con operazioni trasformistiche».

L’allargamento del Centro è anche una questione istituzionale. Senza una riforma che dia spazio e autonomia alle forze intermedie, per voi la vita sarà sempre difficile.
«Non ho la sindrome del soffocamento. Ci stiamo già rafforzando e spero che il risultato di domenica dia una spinta al progetto del partito della Nazione. Questa è la nostra sfida. E sono convinto che i moderati hanno buoni argomenti da usare in politica estera, nelle politiche sociali, nelle riforme istituzionali, e che possono mettere a nudo le contraddizioni del falso bipolarismo Pdl-Pd».

Anche la politica estera è nel vostro mirino
«Berlusconi ha perso le sponde di Bush e di Aznar e mi pare molto indebolito. Non può certo sostituire con Putin i suoi vecchi partner. E per carità di patria evito di parlare delle avventure iraniane del ministro Frattini. La sola strada possibile per l’Italia è collaborare attivamente con Parigi e Berlino, battendosi ancor più per l’Europa comunitaria. È in fondo la politica della Prima Repubblica. E non sarebbe male farsi dare qualche buon consiglio da Andreotti».

Resta il nodo delle riforme istituzionali. Si faranno in questa legislatura?
«Non mi pare che i propositi siano buoni, come dimostra la legge del federalismo fiscale: uno spot concesso alla Lega. Peraltro il Pd, mentre lancia l’allarme sul pericolo per la democrazia, si appresta a votare sì al referendum, con ciò consegnandosi mani e piedi legati a Berlusconi. È difficile fare le riforme con un premier che intende il bipartitismo come monopartitismo e con un Pd che ambisce al più a fare l’opposizione di Sua maestà. Comunque, se ad un certo punto si dovesse fare sul serio, i moderati saranno pronti a sedersi al tavolo e collaborare».

In questa campagna elettorale si è parlato anche di alleanze future. È più vicino il dialogo con il Pdl o quello con il Pd
«Ora noi lavoriamo per consolidare il Centro, tanto che nel 90% delle elezioni locali ci siamo presentati da soli. C’è una legislatura davanti. Non abbiamo fretta. E la nostra barra è ferma: quando lo riteniamo utile, ad esempio sulla politica energetica, non abbiamo esitato a votare con il governo a favore delle centrali nucleari».

È comprensibile l’imbarazzo delle opposizioni per il caso delle veline, ma davvero un giudizio politico non può essere pronunciato?
«Il mio giudizio è che ho un’opinione diversa da Berlusconi su come deve comportarsi un uomo di Stato».

E i voli a disposizione della presidenza del Consiglio?
«Gianni Letta è un galantuomo e, dal momento che era a lui ad autorizzare le liste dei passeggeri, non ho dubbi che sia stata rispettata la legge. Certo, un conto è il rispetto formale delle norme, un altro conto è l’opportunità. Anche in questo caso, la penso diversamente da Berlusconi».



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