Seconde generazioni, italiani come noi.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero
È riuscito persino a far scendere una lacrima al duro e ribelle Mario Balotelli. Impresa compiuta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha ricevuto al Quirinale la nazionale di calcio. Una nazionale in cui giocano ormai quattro italiani di seconda generazione, quei figli di immigrati che sono nati in Italia o vi si sono stabiliti da piccolissimi, crescendo insieme a noi, crescendo italiani a tutti gli effetti. Napolitano ha parlato a lungo della causa che da anni alcune associazioni e raggruppamenti di seconde generazioni portano avanti, per spingere l’Italia ad andare incontro a questi giovani che si sentono italiani come noi, ma agli occhi della legge lo sono di serie B. Il presidente ha ancora una volta, pubblicamente, sostenuto questa battaglia, rivolgendosi da uomo di Stato che si rende conto dei bisogni dei suoi cittadini. Davanti aveva il bomber ex-interista di origini ghanesi che oggi gioca in azzurro, assieme ad altri tre oriundi, in un clima di grande vicinanza umana. E aveva davanti anche tanti ragazzi e ragazze figli di immigrati.
In Italia se ne contano decine di migliaia, frequentano le nostre scuole, i nostri luoghi di ritrovo, hanno le nostre abitudini, conducono un’esistenza molto simile alla nostra, eppure devono aspettare i 18 anni per essere cittadini italiani e quindi essere titolari di diritti e doveri.
È una società variegata, multicolore ed eterogenea la nostra, l’integrazione è l’unica strada percorribile. Ma è davvero integrazione senza questo passo fondamentale, nelle relazioni tra persone che vivono sullo stesso territorio? Viviamo fianco a fianco, noi italiani da sempre e loro, italiani che lo sono da un po’ meno, ma pienamente inseriti nell’ambiente dove sono cresciuti. Perché negare a queste persone fino al compimento della maggiore età i diritti legittimi di cui godiamo noi tutti? Il Parlamento non dovrebbe intervenire per porre fine a questa disparità di trattamento che viene riservata loro? Sono nostri concittadini di fatto ma non di diritto, e allora come Napolitano anche noi nel nostro piccolo dobbiamo sposare la causa di questi giovani di seconda generazione: modificare le leggi e favorire la vera integrazione.
Al Parlamento chiediamo di intervenire, non fosse altro per riconoscere la straordinaria risorsa che rappresentano: mantengono giovane la demografia, arricchiscono la nostra società e talvolta diventano anche dei grandi sportivi che compiono grandi imprese. L’Anolf, la rete G2 e altre organizzazioni spingono per un riconoscimento che non è mai avvenuto, ci mettono di fronte storie di giovani che vogliono essere italiani ma non possono perché la legge glielo impedisce. Interpellano la nostra sensibilità di cittadini aperti alle differenze, di persone che superano le frontiere. La politica che guarda al futuro deve sposare questa corale battaglia.
Ricordando le parole di Balotelli: “Sono italiano, mi sento italiano, giocherò sempre con la Nazionale italiana”. E quelle pronunciate dal nostro presidente Napolitano, rivolgendosi ai nuovi cittadini: “Siete parte integrante dell’Italia di oggi e di domani”. Che il nostro futuro sia il loro futuro.