Perché non si legifera sul conflitto d’interessi?
postato il 26 Settembre 2012La polemica sul cosiddetto conflitto d’interessi è stata, per lungo tempo, uno dei fronti caldi della cronaca politica italiana: era una sorta di spartiacque, tra chi chiedeva una legge subito e tra chi invece lo riteneva uno strumento “punitivo” nei confronti di uno dei principali protagonisti della scena politica, Silvio Berlusconi. Basti ricordare il caso, emblematico, della Commissione Bicamerale per le Riforme, presieduta da Massimo D’Alema, che – naufragata per diversi motivi – fu presto accusata di essere nata col peccato originale di escludere dal suo campo d’azione proprio una legge sul conflitto d’interessi. Era il 1998, siamo arrivati al 2012 e di una legge che regolamenti (come dovrebbe essere regola in un Paese civile, in cui l’interesse privato è ben tenuto separato da quello collettivo) il conflitto d’interessi non c’è traccia. Perché? Abbiamo avuto governi sia di centrodestra che di centrosinistra, come è possibile che in nessuno dei due casi si sia arrivata a una soluzione, completa o pur anche di mera mediazione?
I governi presieduti da Silvio Berlusconi scontavano ovviamente la presenza del principale imputato in causa: proprietario del più grande polo televisivo privato nazionale e di un’importantissima squadra calcistica, a lungo uomo più ricco d’Italia. Ma davvero questo può essere un ostacolo, un freno per un per un uomo di Stato? Se pensiamo, per fare l’esempio più celebre, a uno dei più illustri predecessori di Berlusconi, Camillo Benso di Cavour, la risposta ovvia è no: il Conte, divenuto Presidente del Consiglio dei Ministri, vendette tutte le sue partecipazioni economiche in aziende e imprese varie, proprio perché non voleva che la sua azione governativa fosse in alcun modo influenzata da interessi o timori personali. Ma si sa, o tempora o mores! E i governi presieduti da Romano Prodi, allora? Loro non presentavano, almeno in modo così evidente, conflitti di interesse: eppure anche in questi casi non si è riusciti ad arrivare alla tanto agognata meta. Sembra una legge non scritta della nostra politica: più una riforma è importante, più è probabile che non sarà varata mai (o quasi) da nessuno.
Perché, tutto questo? Probabilmente, perché il conflitto d’interessi serviva più ai vari soggetti in campo per delimitare il loro spazio, il loro campo. Roberto Rao, intervenendo a tal proposito su L’Espresso, ha giustamente ricordato che è tutta una questione di incapacità a legiferare con lungimiranza: «ampi settori della politica invece di pensare all’interesse generale hanno preferito non risolvere mai il problema, per utilizzarlo come arma di ricatto minacciando a favore o contro il Cavaliere. Per questo il tema deve essere affrontato oggi che non si vive in una situazione di emergenza e si può intervenire senza pensare di colpire o salvare qualcuno. L’Italia è piena di conflitti di interesse che devono essere risolti una volta per tutte». L’appello è ovviamente, in prima istanza, al Parlamento, perché nel clima di strana maggioranza, possa riuscire a trovare almeno una soluzione di mediazione (come potrebbe essere il blind trust). Ma è esteso anche all’esecutivo, che con l’impegno diretto del Premier Monti e del Ministro Severino, ha dimostrato più volte di aver intenzione di riformare la giustizia partendo dai punti urgenti e non più rinviabili. E così, se all’anticorruzione, alle intercettazioni, alla responsabilità civile dei magistrati e alla situazione (vergognosa) delle carceri italiani, ci aggiungessimo pure la legge sul conflitto d’interessi, male non sarebbe.