postato il 22 Gennaio 2011 | in "Esteri, In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo"

Tunisia: rivoluzione popolare a poche miglia dall’Europa?

Il 14 gennaio 2011, il giorno in cui il presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali, eletto poco più di un anno prima per la quinta volta consecutiva, qualcuno avrà pensato alla fine di un regime in piedi probabilmente dal 1956, anno di nascita della Tunisia indipendente. In realtà il piccolo stato dell’Africa settentrionale si trova ancora imbrigliato nelle vecchie spoglie di regime e la fuga del suo presidente non basterà certamente ad impedire l’esacerbarsi degli animi della popolazione; una popolazione prevalentemente giovane, stanca dell’immobilismo economico, della corruzione dilagante e delle continue limitazioni della libertà di espressione.

La fuga di Ben Ali in realtà non è stata sufficiente a calmare le proteste che reclamano anche le dimissioni dei ministri che facevano parte del vecchio regime: il 20 gennaio migliaia di manifestanti hanno chiesto a Tunisi le dimissioni del governo di transizione.

La “rivoluzione dei gelsomini”, così come è stata ribattezzata, affonda le sue radici nell’ultimo anno ma l’episodio che probabilmente ha innescato la miccia è stato il sequestro del bancone di frutta e verdura di un mercante ambulante, anch’egli un giovane laureato che non riusciva a trovare un posto di lavoro, e che si è dato fuoco in segno di protesta. A partire da quest’episodio la protesta si è allargata a macchia d’olio, fino a raggiungere la captale, Tunisi. La rivolta vede coinvolti diversi attori sociali: studenti, sindacati, mercanti e numerose donne si uniscono rivendicando i loro diritti sociali: cibo, lavoro, libertà etc…

Infatti,  nonostante il miglioramento del grado di istruzione dei giovani tunisini, le èlite al potere non sono riuscite ad adottare politiche soddisfacenti, tese a creare nuovi sbocchi occupazionali in grado di assorbire la forza lavoro locale, quantitativamente elevata e qualitativamente meglio istruita. Molti giovani decidono di espatriare, alla ricerca di nuove opportunità in terra straniera. Il suolo tunisino, al contrario dei suoi vicini (Algeria, Libia …) non è ricco di risorse energetiche pertanto risulterebbe difficile, in tempi di crisi economica, mantenere in piedi il sistema soprattutto grazie ai proventi di una rendita petrolifera.

Le esportazioni industriali si sono fortemente contratte, i turisti europei sono rimasti a casa loro e così anche gli investitori esteri. Risultato: ne ha sofferto l’occupazione e la crescita non assorbe, in media, più che la metà di una fascia d’età (con meno di 35 anni) in forte crescita, a fronte dei 2/3 della popolazione risucchiati dalla crisi. Ricordiamo che la Tunisia vive grazie alle esportazioni di prodotti agricoli e tessili ma soprattutto grazie al turismo.

Ma veniamo all’Europa, che ruolo svolge o ha giocato l’UE all’interno dei confini tunisini? E’ noto il sostegno europeo al governo tunisino, anche prima che scoppiasse la “rivoluzione dei gelsomini” il vecchio continente aveva ben pensato di stanziare una somma di 240 milioni di euro per la cooperazione tecnica tra la stessa UE e il paese africano. Neppure davanti alle forti restrizioni alla libertà d’espressione, alle carenze democratiche, all’imperante corruzione l’Europa hai mai staccato la spina al regime di Ben Ali, il quale contava invece sull’appoggio dei burocrati e dei ministri europei grazie al suo impegno a favore della lotta al terrorismo islamico, evidentemente la prima preoccupazione di Bruxelles, o comunque la conditio sine qua non per avviare dei negoziati o per stipulare accordi.

In tempi recenti o comunque prima che la Tunisia finisse nel caos, erano state varie associazioni a lanciare l’allarme chiedendo esplicitamente all’UE di cessare i negoziati per il partenariato strategico tra Bruxelles e Tunisi; una di queste è Résean Euro-Mediterranéan des droits de l’homme (Remdh).

Dicevamo dunque del sostegno europeo al regime pluri-decennale di Ben Ali; esso si basa sul tacito accordo sulla lotta al terrorismo. Gli islamisti esistono anche in Tunisia, sebbene la maggior parte di loro sia stata eliminata fisicamente dal regime nei passati decenni, mentre i leader sono fuggiti all’estero. La loro possibilità di successo tuttavia si scontra con un movimento molto laico, evidente soprattutto nella partecipazione delle donne alle manifestazioni.

Intanto le proteste non si sono placate nemmeno dopo la destituzione ufficiale del presidente Ben Ali da parte del consiglio costituzionale e la proclamazione di F.Mebazaa quale presidente ad interim. Come suggerisce un giovane blogger tunisino, è tempo di passare da una rivolta popolare ad una situazione che dia stabilità. In quest’ottica, una sola azione è da intraprendere: la costituzione di un collettivo di tunisini tra attori della società civile e di varie parti dell’opposizione al fine di dirigere l’azione della protesta tunisina … “fermiamo le nostre divisioni, mettiamoci insieme e facciamo arrivare alla nostra gente e al mondo una sola voce forte, potente e legittima, con un solo moto: lottiamo insieme fino alla fine di questo regime”.

In ultima analisi potremmo dire che tutta l’area mediterranea è interessata da rivolte e tumulti: la protesta dei tunisini è quella che probabilmente è riuscita ad alzare la voce con più veemenza, ma anche in Grecia, in Algeria, in Marocco, in Egitto, ed ora anche in Albania sembra che la tensione stia salendo sempre più vertiginosamente: venti e tempeste si stanno abbattendo sul Mediterraneo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Shardana

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www.courrierinternational.com

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