Tutti gli interessi economici fra l’Italia e la Libia di Gheddafi
Le recenti vicende libiche, che seguono le rivolte avvenute in tutto il Nord Africa e Medio Oriente (e che non sembrano essersi sopite come dimostra l’Egitto) ha posto sotto gli occhi di tutti i numerosi rapporti economici che vi sono tra il nostro paese e la Libia. D’altronde l’Italia è al primo posto per l’export e al quinto per l’import da Tripoli, con un interscambio nel primo semestre 2010 che si aggira attorno ai 7 miliardi di euro, con stime superiori ai 12 miliardi per l’intero anno.
D’altronde la nostra dipendenza dall’energia libica è elevatissima, infatti ricordiamo che noi importiamo dalla Libia quasi un terzo del petrolio e del gas che utiliziamo, e anzi uno studio della societa’ Althesys afferma che se il blocco del gas dalla Libia, arrivasse a durare un anno, ci sarebbero delle ripercussioni sulle bollette degli italiani, di circa l’8,5%, perchè la necessità di ricercare combustibili alternativi per non fare fermare le industrie italiane, porterebbe ad un aumento del costo di produzione dell’elettricita’ pari a 20 euro per ogni MegaWatt/h prodotto, pari a circa 32 euro a famiglia.
Se invece osserviamo le società che hanno rapporti a vario titolo con la Libia, osserviamo che la Libia controlla il 7,2% di Unicredit, la finanziaria Lafico possiede il 14,8% della Retelit (società controllata dalla Telecom Italia attiva nel WiMax), il 7,5% della Juventus e il 21,7% della ditta Olcese.
Non è finita qui, perchè Tripoli, attraverso il fondo sovrano Libyan Investment Authority, possiede una partecipazione attorno al 2,01% di Finmeccanica, società italiana leader nella tecnologia e negli armamenti.
Però l’importanza della Libia non è solo nelle partecipazioni azionarie, perchè vi sono oltre 100 imprese italiane in Libia, prevalentemente collegate al settore petrolifero e alle infrastrutture, ai settori della meccanica, dei prodotti e della tecnologia per le costruzioni. L’elenco è smisurato, ma, volendo restare alle più note, non possiamo non citare Iveco (gruppo Fiat) presente con una società mista ed un impianto di assemblaggio di veicoli industriali, Impregilo (i contratti stipulati con la Libia pesano per circa l’11% del fatturato della società), Bonatti, Garboli-Conicos, Maltauro, Ferretti Group (tutte società di costruzioni). Altri settori sono quelli delle centrali termiche (Enel power), impiantistica (Tecnimont, Techint, Snam Progetti, Edison, Ava, Cosmi, Chimec, Technip). Telecom è presente anche con Prysmian Cables (ex Pirelli Cavi).
Nel 2008 inoltre i libici hanno formalizzato un’intesa con il ministero dell’Economia italiano che dovrebbe permettere a Tripoli di aumentare le partecipazioni in ENI (di cui già possiedono lo 0,7% del capitale) inizialmente al 5%, poi all’8%, fino a un massimo del 10%.
D’altro canto l’ENI è il primo produttore straniero nel paese libico, con una produzione di circa 244mila barili di petrolio al giorno, oltre al gas prodotto dai campi libici attraverso il gasdotto denominato GreenStream (che in questi giorni è stato chiuso a scopo precauzionale dall’ENI) che collega Mellitah, sulla costa libica, con Gela, in Sicilia. Nel 2008, Eni si è approvvigionata dalla Libia per circa 9,87 miliardi di metri cubi di gas naturale e ha avviato il potenziamento del gasdotto per consentire un aumento della capacità di trasporto da 8 a 11 miliardi di metri cubi/anno entro il 2012. Ma tutto questo è niente se lo confrontiamo con il piano di modernizzazione della Libia concepito da Gheddafi, che prevede investimenti per 153 miliardi di dollari per realizzare infrastrutture, progetti urbanistici e tecnologie per sviluppare l’industria estrattiva del petrolio e del gas. L’Eni ha siglato con la società libica che gestisce il petrolio e il gas (Noc, National Oil Corporation) un accordo da 28 miliardi di euro per lo sfruttamento dei giacimenti di greggio e l’aumento della produzione di gas, a cui si aggiunge l’accordo da 150 milioni di dollari con la Noc e la Gheddafi Development Foundation per il restauro di siti archeologici, interventi in campo ambientale, e la formazione di ingegneri libici, che saranno assunti dalla major del cane a sei zampe.
Anche Impregilo, come abbiamo detto, ha fatto e fa molti affari in Libia: ha vinto una commessa per la costruzione di una torre di 180 metri e un albergo di 600 camere a Tripoli, ha realizzato gli aeroporti di Kufra, Benina e Misuratah, e il Parlamento a Sirte. La stessa società ha vinto l’appalto per costruire tre università, più diversi alberghi e è in gara per la costruzione di una autostrada fino all’Egitto.
Questo per quanto riguarda gli affari “civili”, poi c’è il business delle armi: per il momento le nostre aziende del settore difesa hanno siglato ricchi contratti per la fornitura di mezzi militari e armi. In questo modo, la strada è stata aperta e i buoni rapporti instaurati in questi mesi serviranno per siglare nuovi e più sostanziosi contratti per la fornitura di armi e mezzi.
D’altronde la Libia nel 2007 (ultimi dati disponibili) ha acquistato armamenti per 423 milioni di euro, il 52% in più rispetto a dieci anni prima. Ora è il quarto acquirente di armi dell’Africa settentrionale (dietro ad Algeria, Marocco e Senegal).
«Tripoli – osservano i ricercatori del Sipri – sta trattando con alcuni grandi fornitori per acquistare sistemi d’arma complessi e si prevede diventi nei prossimi anni uno dei principali acquirenti di armi del continente africano». Nel Rapporto del presidente del Consiglio dei ministri sui lineamenti di politica del governo in materia di esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento 2008 (la relazione che annualmente il governo italiano presenta al parlamento) la Libia, con 93,2 milioni di euro di fatturato, è il nono cliente dell’industria bellica italiana (nel 2007 il fatturato era di 56,7 milioni di euro).
Questa cifra è destinata ad aumentare visto che i recenti accordi (come quello da 300 milioni di dollari siglato con da Selex con il governo libico) con Finmeccanica promettono di aumentare ulteriormente le esportazioni di armi verso Tripoli.
E non è finita qui, perchè anche l’agroalimentare italiano ha grossi rapporti con la Libia, come afferma la Coldiretti, infatti sono a rischio le esportazioni di conserve di pomodoro, frutta, biscotti e cioccolato per un valore che ha superato i 100 milioni di euro nel corso del 2010, a fronte di importazioni dalla Libia pari a 1 milione di euro.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati